martedì 26 marzo 2024

Virgilio ci accompagnerà nel nostro campo di margherite

Nei secoli le foreste, i boschi e "le selve oscure" hanno sempre rappresentato luoghi di smarrimento per chi le attraversasse.
Basti pensare a Cappuccetto Rosso, che si perde col lupo nel bosco. Hansel e Gretel che incontrano la strega nella sua casa di marzapane. Pollicino, la Bella e la Bestia...
Anche Dante si perde, ma non incontra un lupo cattivo o una casa fatta di dolci. Dante incontra tre belve feroci. 
Lui non sa cosa l'abbia spinto in quel posto così pericoloso e oscuro, era in dormiveglia e non consapevole delle sue azioni, incapace di distinguere il bene e il male. Ha incontrato le tre fiere che rappresentano i tre peccati che allontanano dalla salvezza: lussuria, superbia e avarizia. 
Penso che tutti nella vita ci siamo sentiti almeno una volta un po' Dante; incapaci di scegliere, abbiamo imboccato la nostra selva oscura senza sapere dove ci avrebbe portato, rincorrendo una scorciatoia o un attimo di svago, ciascuno con le proprie ragioni, giuste o meno, ma l'importante è trovare l'uscita. Che sia un campo di papaveri o margherite, una sorgente in mezzo al bosco o una spiaggia deserta, una montagna innevata o un colle illuminato dal primo sole.
Certo, non sarà facile, perché prima bisogna realizzare di essersi persi e accettarlo; smetterla di mentire a se stessi e abbandonarsi nella propria selva, perché ci si può ritrovare solo se si ammette di essersi persi.
Sarà la parte più dura, la più complicata. Ma prima di iniziare a camminare bisogna alzarsi. Molti definiscono l'inferno come il fondo, la fine di qualcosa, la conclusione di una storia. Secondo me, per i vivi non c'è un fondo, un ultimo piano, perché non sai mai quanto in basso puoi scendere.
Dante ha affrontato i suoi demoni scendendo fino all’ultimo girone dell’inferno, non lasciandosi intimidire dalla sua porta: “Lasciate ogni speranza o voi che entrate”. Suona come un avvertimento, l'ultima mossa di una partita a scacchi, perché, varcata quella soglia, la fine sembra ineluttabile e la salvezza un’utopia.
Bisogna ammettere che un po’ tutti ci siamo prodigati a recitare un ruolo da attori protagonisti nel grande teatro della vita, nascondendo dietro le nostre maschere scintillanti tutti i nostri demoni più terrificanti con i quali facciamo i conti solo quando ci ritroviamo soli davanti allo specchio e li riponiamo sotto il letto. Abbiamo cercato di fingere di essere “puri”, senza una macchia, senza nessun demone da combattere, perché viviamo in un mondo in cui per essere accettati non bisogna avere nessuna imperfezione, e il dolore è la più grande forma di imperfezione esistente.
Questa è la selva, dolore e paura, e dobbiamo attraversarla, perderci e affrontarla, cercandone l’uscita; forse non riusciremo a trovarla da soli e avremo bisogno del nostro Virgilio che ci mostri la strada, che non sarà ricoperta da petali di rose ma buia, fredda e piena di spine. Bisogna ricordarsi però che non siamo soli.
Non sei solo.
Non sei sola.
La selva è questo: una tappa che tutte le nostre mappe hanno in comune, una rotta non evitabile, che fa male. Ma necessaria.
Come saremmo senza la capacità di provare dolore? Vuoti.
Non si può seguire una mappa a cui manca un pezzo, non si può scrivere una storia a cui manca un capitolo, non la puoi leggere saltando le parti che ti fanno paura. Abbi il coraggio di chiedere aiuto! Insieme si attraversano i boschi più scuri.

Francesca Laddaga 
Classe 2^C

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